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Perché si fa una guerra?
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2 Marzo 2003

Ho ricevuto da più parti lo spot Power Point "Perchè si fa una guerra.pps", che vorrebbe spiegarcelo facendo un ragionamento sui costi della prima guerra del Golfo per farci aderire all'appello di http://www.emergency.it (naturalmente EMERGENCY NON C'ENTRA, e nel frattempo sono state pubblicate smentite: vedere qui).

Non ho controllato i conti dell'allegato. Presumo siano corretti. Ma non sono rilevanti. La posta in gioco nelle guerre che si minacciano o si fanno nell'area del Golfo Persico è molto più grande di un affaraccio da 40 miliardi di dollari da cui qualcuno intasca utili, come vorrebbe dimostrare lo spot "Perchè si fa una guerra.pps".

40 miliardi di dollari sono equivalenti al valore di meno di 20 giorni di consumo mondiale di petrolio a 30$/barile, oppure equivalenti grossomodo al valore di 2 giorni del Prodotto Nazionale Lordo degli Stati Uniti.

La vera ricchezza è poter bruciare petrolio per ottenere lavoro meccanico e calore con cui mantenere gli ozi che ci scegliamo. Senza energia, niente agricoltura occidentale (sovvenzionata, 5% degli occupati), niente industria occidentale (semi-sovvenzionata e con produzione delegata al di fuori dei confini ormai, 30% degli occupati), niente terziario occidentale (65% degli occupati, per lo più superfluo). Di conseguenza: niente occupazione occidentale e soprattutto niente welfare occidentale, con corredo di aiuti allo sviluppo, umanitari, no profit ed elemosine varie. Senza una adeguata fornitura di energia quella articolazione della società e dell'economia occidentali cascano come una pera cotta. Ciascuno di noi in occidente ha attualmente a disposizione l'equivalente del lavoro di circa 25-30 schiavi ottenuti per circa un 85% dal bruciare petrolio. Le altre considerazioni sono scritture contabili espresse con quell'unità di misura elastica che sono le unità monetarie.

Quello che conta per un occidentale medio è assicurare che il petrolio arrivi senza restrizioni alle economie occidentali e senza che esso sia ipoteticamente controllato da una eventuale teocrazia islamica unitaria (o altro gruppo politico estraneo o distante dai benefici del bruciare petrolio), che a quel punto potrebbe fare dell'occidente quello che vuole. Almeno fino a quando in occidente non si riuscisse a convertire la nostra dipendenza da petrolio in dipendenza da energia nucleare (oppure per un po' di tempo, in dipendenza da carbone e gas, ma gli inconvenienti del carbone forse non valgono il lavoro di fare la transizione petrolio->carbone). Come si intuisce, i 40 miliardi di dollari non sono niente rispetto alla posta in gioco.

Non tentare di praticare un controllo politico-militare sul flusso di petrolio equivale a consegnare la sovranità dei nostri comportamenti ad una possibile teocrazia islamica riunificata (disegno politico apertamente rivendicato da Bin Laden). Praticarlo può comunque aiutare disegni politici ispirati a quello di Bin Laden. Il temuto "scontro di civiltà" è un esercizio letterario. Le questioni, credo, siano meno eteree. In questo senso, Bin Laden ci ha dato scacco. Se poi il progetto di un grande califfato unito sarà realizzato, non si può sapere ora. Date le divisioni interne al mondo islamico di quei posti, la cosa non sembra molto probabile. Ma non ho nessuna competenza per valutarlo. E' comunque certo che noi occidentali faremo di tutto per seminare zizzania.

Alcuni commentatori presumono che il petrolio non può essere una ragione valida per fare una guerra. Ma il petrolio è cibo. In misura maggiore questo è vero soprattutto per i paesi cosiddetti sviluppati. Per essere chiaro: la popolazione attuale del pianeta ammonta a più di 6 miliardi di persone. Più di 9 miliardi di persone sono attesi per il 2050. Per allora, quasi tutto il petrolio sulla terra sarà stato bruciato. Quando la rivoluzione industriale è cominciata (diciamo 200 anni fa: la prima macchina a vapore efficiente dotata di condensatore e regolatore di velocità di James Watt è del 1769) solo 1 miliardo di persone popolava il pianeta, mentre circa 2000 anni prima erano 0.3 miliardi (dare un'occhiata alla curva qui).

Quasi tutti (se non tutti) i nostri modelli culturali e comportamentali, i nostri paradigmi politici, i nostri modi di pensare, le nostre teorie economiche, le nostre credenze etiche e religiose hanno profonde radici precedenti o nell-intorno dell'inizio della rivoluzione industriale. Alcuni di essi si sono lentamente formati durante gli ultimi 2500-1500 anni. Chi ci dice che siano adatti a gestire i problemi e le sfide di un mondo sovrappopolato che recentemente ha raddoppiato la sua popolazione in meno di 50 anni?

La rivoluzione industriale è essenzialmente l'aver imparato a convertire la potenza del fuoco in lavoro meccanico, cioè aver acquisito la capacità di sfruttare uno stock finito di combustibili fossili e aggiungerlo al flusso costante di energia che annualmente arriva dal sole e fa vegetare la base della catena alimentare. L'organizzazione sociale e l'efficienza della produzione di cibo prima della rivoluzione industriale non erano male, dati i mezzi: lavoro muscolare di uomini e animali. Quell'efficienza è evoluta nel corso di diverse migliaia di anni e non possiamo aspettarci di fare molto meglio neppure ora, dati quei mezzi. Perciò sembra ragionevole pensare che, senza il contributo di quell'energia fossile, non più di 2 miliardi di persone potrebbero sopravvivere sul pianeta. Forse un po' di più, ma non molte di più. Ciò significa che, in mancanza di quella energia extra, 6 miliardi di persone rischiano di essere in eccesso per il 2050. Se nate, morirebbero di stenti.

Circa l'85% di quella energia extra ora proviene dal petrolio. Il resto proviene da gas naturale, impianti nucleari e fonti rinnovabili. Quasi metà del petrolio scoperto è già stato bruciato. Un buon 2/3 di esso è stato bruciato negli ultimi 30 anni (il tempo di vita di un giovane). Nessuna importante scoperta di nuovi giacimenti è attesa, e le nuove scoperte sono quasi irrilevanti. C'è un po' di gas naturale. C'è abbastanza carbone, ma il carbone ha parecchi inconvenienti. Emette radioattività nell'ambiente e causa piogge acide. C'è l'energia nucleare.

Portare tutta la popolazione del pianeta a dipendere da fonte nucleare per un ammontare di energia pro-capite comparabile alla disponibilità di energia pro-capite che consente il modello di vita occidentale di oggi vorrebbe dire moltiplicare per almeno 40-50 volte (forse di più) l'attuale produzione mondiale di energia da fonte nucleare. Questo comporta una conseguente diffusione della tecnologia nucleare e soprattutto la conseguente diffusione ovunque della disponibilità di materiale fissile e/o radioattivo per eventuali armi nucleari (proprie o sporche). Questa diffusione di tecnologia nucleare sarebbe potenzialmente devastante in assenza di un controllo militare ferreo della tecnologia e del ciclo del combustibile nucleare da parte di una casta politicamente compatta presente in ogni angolo della terra e con facoltà e forza di repressione assoluta per migliaia di anni. Dato che è difficile ottenere la costituzione, l'integrità e la durata di una simile casta per varie ragioni, non so dire quanto una conversione alla fonte nucleare sia davvero auspicabile, anche se sarà prima o poi praticata, perché l'alternativa sarebbe morire di stenti in misura molto maggiore di quanto già accade oggi nel mondo.

Per inciso: sento spesso dire che l'idrogeno sostituirà il petrolio. Non è così. Chiunque mastica un po' di chimica o fisica lo sa. L'idrogeno usato in reazioni chimiche non è una fonte energetica. E` un modo per immagazzinare energia. L'idrogeno non si trova in cave. Va prodotto rompendo una molecola che lo contiene, come l'acqua. Per fare questo, occorre energia trovata altrove. Più energia di quanta esso può restituire in una reazione chimica come quella che avviene in un motore a idrogeno. L'idrogeno sarebbe una fonte energetica in reazioni nucleari. Ma, al momento, nessuno sa se mai riusciremo a controllare una reazione nucleare dell'idrogeno con bilancio energetico positivo. Per ora sappiamo solo fare reazioni nucleari incontrollate con l'idrogeno, cioè bombe H.

Se perciò si tralascia di prendere in considerazione l'opzione nucleare (la cui praticabilità avrebbe comunque tempo di attuazione almeno 40-ennale), si ha a che fare con una condizione di limiti stretti di risorse disponibili e con la relativa lotta per la sopravvivenza che ne deriva. Con un modello di consumo mondiale come quello attuale, di combustibili fossili (non considerando il carbone) possiamo ancora campare per circa 30-40 anni (probabilmente meno: The End of Cheap Oil [Scientific American, march 1998] [http://www.dieoff.org/page140.htm] ), e possiamo farlo per questo tempo solo se si mantengono le attuali diseguaglianze riguardo all'accesso alle risorse, o se si accentuano tali diseguaglianze.

E' in questo quadro, a mio parere, che vanno valutate le strategie geo-politiche che portano noi occidentali a tentare di controllare politicamente (o militarmente, che è lo stesso) l'area del Golfo Persico, che contiene, in prospettiva 2010, oltre il 50% del petrolio residuo nel mondo. Se questo riuscirà non lo sa nessuno. In una partita importante non si sa prima chi vince.

Se non riuscirà, è molto probabile un rapido e drastico cambiamento del nostro complessivo stile di vita (dall'attuale modello di produzione e disponibilità del cibo, alla possibilità di mantenere gli attuali standard sanitari, alla praticabilità del nostro welfare, alla tenuta delle libertà democratiche che diciamo di amare), combinato con una affannosa conversione all'uso di energia nucleare e da carbone.

L'aumento di efficienza energetica del nostro stile di vita (meno energia, stessi benefici) non è, a mio parere, praticabile nelle dimensioni che si renderebbero necessarie da una rapidamente diminuita disponibilità di petrolio a prezzi relativamente bassi (inferiori a 30$/barile), come quella che potrebbe facilmente generarsi in assenza di controllo politico-militare ferreo delle aree di produzione da parte dell'occidente. Infatti il flusso di petrolio potrebbe prendere la direzione di economie emergenti (che ora producono su licenza e istruzione occidentale, e dissipano meno) al di fuori del controllo dell'occidente, ed essere diretto da chi controlla il petrolio, con conseguente possibile rapida perdita di valore delle monete occidentali. La praticabilità di questo aumento di efficienza che sfocia in diminuzione del fabbisogno energetico non si è storicamente verificata dal 1973 (primo shock petrolifero) ad oggi, pur avendola cercata (cfr. questo documento). La rigidità del frazionamento dei prodotti petroliferi (frazionamento del greggio in benzine, kerosene, gasolio, ecc.) non aiuta a fare risparmio energetico. Probabilmente il modo più efficace di fare risparmio energetico è quello di sfoltire e ridurre le attività economiche, cosa che comporta un ridisegno profondo dello stile di vita. Il che appare difficilmente praticabile su base volontaristica.

Praticare una equa distribuzione delle risorse a livello mondiale (cioè: ogni persona sul pianeta riceve una dose di risorse uguale), senza espandere il fabbisogno di risorse primarie (energia) e senza alterare lo sperimentato modo di funzionare della nostra società e modo di produzione, comporterebbe per noi occidentali MEDIAMENTE accettare di vivere con 1/4 delle risorse che ciascuno di noi usa quotidianamente. Cioè, ad esempio: le attuali nostre risorse sanitarie dovrebbero bastare per una popolazione 4 volte superiore, le nostre case dovrebbero ospitare 4 volte la popolazione che ospitano (invece che 3 in 4 stanze, 12 in 4 stanze), le scuole dovrebbero servire 4 volte gli studenti che hanno, ecc. Ma la cosa veramente importante è la seguente: un rimpicciolimento proporzionale a 1/4 del nostro uso di risorse comporterebbe automaticamente un sovvertimento dell'organizzazione del lavoro e della società occidentale. Infatti, dato che nessuno spreca grandi quantità di cibo neppure in occidente, un rimpicciolimento proporzionale della disponibilità di risorse comporterebbe una insufficiente dotazione di cibo per far fronte al metabolismo di base delle persone, cioè comporterebbe la morte per fame. Ovviamente prima di morire di fame le persone taglierebbero drasticamente altri consumi, creando però così disoccupazione massiccia nei settori terziario e industriale e una loro consistente demolizione. Inoltre ciò richiederebbe la ridistribuzione sul territorio agricolo della popolazione, che dovrebbe reimparare a produrre efficientemente il proprio cibo, o vivere di sussistenze pubbliche senza alcun ruolo attivo. Questo non si potrebbe fare velocemente. Occorrerebbero almeno 40-50 anni di turbolenze, a mio parere.

Personalmente non so se mi abituerei facilmente ad una simile condizione. Forse sì: ci si abitua a tutto, e la maggior parte della popolazione mondiale già sta peggio. Però potrei dirlo solo dopo aver provato, e ci dovrei essere un po' costretto. Ma la questione non è quello che farei io. Noi viviamo in una democrazia che elegge i propri desideri. La domanda da farsi è: con quali voti un politico verrebbe eletto avendo il programma di portare i propri elettori da come stanno adesso verso la condizione descritta sopra? Come si compete con un programma che invece propone, in varie forme, una politica da "fortezza assediata"?

La risposta dei politici americani è secca: lo stile di vita degli americani non è negoziabile. Cosa dicono, in proposito, i politici europei?

Il nostro tentativo di controllo politico-militare dell'area del Golfo Persico è un atto politico da "fortezza assediata", a mio parere. Una prospettiva politica che vede un 30% della popolazione mondiale cercare di mantenere uno stile di vita occidentale, un 30%-40% della popolazione che vivacchia rincorrendo lo sviluppo e la restante parte che fatica a sopravvivere e muore di fame, come ben inquadrato dall'articolo di Lorenzo Matteoli http://matteoli.iinet.net.au/html/Articles/Guerra.html

Le considerazioni che ho fatto rappresentano i confini dello spazio entro cui ci si può muovere. Le cose probabilmente si assesteranno su miscele intermedie all'interno di quei confini (un po' di aumento di efficienza, un po' di riduzione del nostro tenore di vita, un po' di energia nucleare, ecc.). Ma i confini sono quelli.

Il candidato più dotato per raccogliere la disperazione dei diseredati della terra sembra l'Islam. Il messaggio è semplice e diretto. Più semplice della realtà, ma non importa. Si sa, le religioni raccontano sempre belle favole. Per fare giovani adepti servono richiami che incantano, non raffinate analisi. Quanto a incanto, un Osama Bin Laden martire batte un Bush 100 a 0, nella testa di ragazzi poveri e disperati. Costoro intuiscono che il nostro stile di vita non è per tutti. La composizione per età e i tassi di fecondità avvantaggiano l'Islam, che non fa mistero di usare questo come arma di lotta politica e di espansione. Sarebbe divertente vedere come gestiranno sovrappopolazione e miseria, e come gestiranno le differenze che sempre si producono comunque, dopo averci fatto estinguere come grandi dissipatori. Ma noi non ci saremo già più.

Saluti.
-- 
Bruno CAUDANA
b.caudana@ieee.org
http://www.adaptive.it/home.htm


SMENTITE AL MESSAGGIO POWER POINT SI TROVANO QUI:

http://www.attivissimo.net/antibufala/perche_si_fa_guerra.htm
http://www.elet.polimi.it/upload/soncini/guerra.htm
http://www.allistante.it/emergency/allistante/visualizzazione/notizia.cfm?id=2062