----- Original Message -----
From: "Bruno CAUDANA"
To: "Leonardo ZEGA"
Subject: Dio non è geloso, se c'è (A proposito di una ricerca scientifica sottomessa all'etica [LA STAMPA 11 FEB 2003])
Date: 12 February 2003 10:26
A proposito di una ricerca scientifica sottomessa all'etica [Leonardo ZEGA, LA STAMPA 11 FEB 2003].
Forse nell'ordine delle cose costruito da Paolo di Tarso e sistemato da Tommaso d'Aquino l'etica può pensare di governare una scienza considerata come ancella di una teologia a sua volta sottoposta alle Verità di Fede rivelate. Galileo però cominciò a manifestare qualche dubbio che le cose stessero proprio così.
Domanda: lei è davvero convinto che le proposizioni etiche siano così evidenti da non meritare qualche dubbio e qualche riflessione? E` proprio convinto che la possibilità stessa di fare ragionamenti etici (e di farli concordanti) sia evidente di per sé? In che senso, secondo lei, le proposizioni etiche sono così potenti da presumere di poter governare una ricerca che mette in questione non solo la sistemazione di Tommaso d'Aquino, ma che, con molte buone ragioni, dubita fortemente dell'esistenza di Dio, o la nega?SelagerarchiaFede->Verità->RagioneTeologica->Etica->Scienza non è condivisa ed è messa in questione, come fa l'etica a dirimere conflitti, o anche solo a dire cose comprese allo stesso modo da tutti i dialoganti? Verità Rivelate che comprendono simultaneamente nel loro corpo documentale frasi come, per fare un esempio, "[...] amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano [...]" e "[...] non sono venuto a portare la pace ma la spada [...]" o "[...] Io non sono solo, ma siamo io e Colui che mi ha mandato [...]", sono veramente così cristalline, o richiedono la sottile e insidiosa arte dell'interpretazione?
Le accludo alcune considerazioni che, forse, chiariscono meglio cosa voglio dire.
Saluti. -- Bruno CAUDANA b.caudana@ieee.org
Grazie dell'attenzione, ma io non ho parlato di "sottomissione" ma di riferimento a principi universalmente accettati. Dopo Darwin, "non uccidere" è ancora un imperativo morale?
Distinti saluti.
Don Leonardo Zega
Non credo di capire cosa sia un "imperativo morale". Soprattutto se si ammette che le specie non sono fisse, ma si formano e svaniscono e, con esse, i loro imperativi. Chiamiamo forse "imperativo morale" l'illusione di aver trasformato un desiderio in un principio generale cambiandogli nome? Osservo che molti non desiderano uccidere, e io non desidero uccidere. Ma osservo che ci si uccide. E ci si uccideva da ben prima di Darwin. Basta cambiare "non mi piace uccidere" in "non uccidere!" per avere un principio etico universale?
No, "non uccidere" non è un imperativo morale universale. Credo che nemmeno Kant (l'inventore dell'imperativo categorico) lo considererebbe tale. C'è chi ha sostenuto e sostiene e pratica "imperativi morali" (posto che la locuzione abbia senso) incompatibili o in contrasto con l'imperativo "non uccidere". Questo lo rende non universalmente accettato, già come principio. Sul piano della pratica, la storia cristiana (e non solo essa, ovviamente) è piena di uccisioni benedette, e teorizzate come benedette o quasi (guerra giusta, legittima difesa, ecc.). Evidentemente qualche problema tra principi etici universali e mondo fisico ci deve pur essere da qualche parte.
La questione è proprio sulla universalità dei principi etici. Sulla loro universalizzabilità e praticabilità in quanto universali. Non è molto importante che anche tutti (ma saranno sempre e solo tutti quelli di un gruppo tale quale è in un certo posto e in un certo momento) siano d'accordo a non praticare una violazione. Ma è il fatto che la violazione possa manifestarsi ed, eventualmente, avere successo, a rendere il pricipio relativo e discutibile. Nella pratica delle scienze della natura quando un fatto contraddice un principio universale è il principio universale ad essere rivisto, non il fatto.
Ciò mostra quantomeno la natura paradossale delle affermazioni etiche generali, che vengono regolarmente violate nelle condizioni che si manifestano nella pratica. Questa sistematica incoerenza tra principi etici generali e loro praticabilità storica, a me fa dubitare della consistenza della formulazione di quei principi, se voglio considerarli qualcosa d'altro che desideri soggettivi.
Se poi si pensa a proposizioni etiche generali meno retoricamente e immediatamente estreme, come la teorizzazione della tolleranza o la teorizzazione di un mondo sostenibile, i paradossi rispetto alla loro praticabilità fisica sono immediatamente evidenti.
Allora, o si continua a credere alle favole dei principi etici universali, per poi esercitarsi in acrobazie retoriche ambigue e ipocrite quando ciò che accade viola le prescrizioni, o si dubita della loro consistenza.
La cosa non è molto gradevole, ma non so che farci. Possiamo pure chiudere gli occhi e far finta di non vedere, se vuole.
Circa la "sottomissione": che differenza c'è tra "fare riferimento" a principi etici che limitano e circoscrivono la ricerca e "sottomissione" agli stessi?
Saluti e grazie anche a lei per l'attenzione.
--
Bruno CAUDANA
b.caudana@ieee.org
Send this page to a friend HOME