----- Original Message -----
From: "Bruno CAUDANA"
To: uominieprofeti
Sent: Sunday, February 09, 2003 6:50 PM
Subject: A proposito di natura umana e banalità del male
Ho ascoltato le considerazioni sulla "questione del male" che avete fatto a partire dai brani di Hannah Arendt. Al di là del fascino della questione e della raffinatezza retorica che la storia del pensiero ha prodotto intorno ad essa, sono scettico sulla consistenza conoscitiva del ragionarci intorno.
Vorrei ricordare che all'epoca in cui Kant tentava la formulazione di un'etica svincolata dalle massime morali, nessuno minimamente pensava alla eventualità che gli uomini venissero da un processo evolutivo, e che anche tutti i loro tratti, compresi quelli intellettuali potessero essere frutto di un processo evolutivo esclusivamente fisico-materiale. Per dirla in una battuta, nessuno metteva minimamente in dubbio la "fissità delle specie" e in particolare della "specie umana". Men che meno, nessuno azzardava pensare che quella cosa di nome "natura umana" fosse oggetto di formazione, evoluzione ed, eventualmente, estinzione per via di trasformazioni puramente fisiche durante le ere geologiche. Presupporre di poter avere la legge dell'altro dentro di sé significa implicitamente negare che la legge morale si forma e potrebbe formarsi in modo diverso in soggetti diversi o non formarsi affatto, nel processo storico di evoluzione o nel corso della vita di un individuo.
Ora, proprio quella nozione di "natura umana", così come è stata intesa dalla nostra tradizione mitica e filosofica, viene messa radicalmente in questione dall'aver scoperto il meccanismo dell'evoluzione. La formulazione darwiniana dice che gli organismi viventi sono prodotto di evoluzione attraverso meccanismi fisici materiali. Essa suggerisce che gli uomini si sono formati nel tempo, come tutti gli altri esseri biologici, mediante variazioni graduali da progenitori comuni ad organismi di altre specie. Questo meccanismo non richiede l'intervento di altre forze, oltre quelle fisiche, per spiegare la differenziazione che constatiamo tra i viventi. E non richiede neanche finalità di sorta. La biologia attuale mostra inequivocabilemnte la parentela di tutti gli organismi biologici e mette in questione la netta distinzione tra uomini e animali. Le azioni di ingegneria genetica funzionanti (es: prendere un pezzo di DNA umano per generare organismi transgenici) sono una ulteriore evidenza di ciò.
Nella concezione evoluzionista, ciascun uomo, come ciascun altro organismo biologico, è sempre un esperimento biologico soggetto alla selezione del contesto in cui si trova. Tutti i tratti del suo essere tale qual è sono storici e contingenti. Pertanto ogni affermazione generale sulla natura umana (come la individuazione della nozione di "male") mi pare stridere con la sua contingenza. Ogni affermazione sulla natura umana in astratto mi sembra contraddetta dalla possibilità della novità dell'esperimento di irrompere. E l'irruzione della novità è, volenti o nolenti, limitata solo dalla fisica, non da formulazioni di liceità. Possiamo desiderare l'esercizio di vincoli di liceità, come possiamo desiderare l'esercizio di una predazione, ma non possiamo parlare della loro necessità o della loro verità nel senso in cui invece ci riferiamo ad una regolarità (legge) fisica. Gruppi di organismi possono tentare di costruire barriere di liceità. Esse agiscono nello stesso modo in cui una attività di predazione può agire: modificando il 'territorio', il contesto, dell'azione. L'esercizio di una barriera di liceità può produrre o meno vantaggio evolutivo per chi la esercita, così come può farlo una acquisita capacità predattoria, o una morfologia o una fisiologia acquisite per caso, e diventa una barriera per altri, come un fiume che cambia il letto in cui scorre, o un tratto di terra che sprofonda facendo, di una penisola, un'isola.
In breve, se la "natura umana" è evoluta dai batteri e continua ad evolvere verso un indeterminato qualcosa d'altro o verso l'estinzione, è poco comprensibile volerne catturare una "essenza" a cui riferire il fondamento di un dover essere diverso da quello che i limiti fisici impongono. Se è convincente quanto Darwin e la biologia mostrano (e io penso che sia convincente), la possibilità stessa di formulare proposizioni etiche normative non soggette all'arbitrio delle preferenze tra loro in conflitto è radicalmente messa in questione. Con ciò, è la stessa nozione astratta di male (e di bene) ad essere privata di senso, così come molte altre generalizzazioni contenute in proposizioni a sfondo etico. In questo senso si può anche intravvedere come proposizioni etiche generali degenerino rapidamente in paradossi quando si vuole provare ad applicarle a comportamenti nel mondo fisico. Si può parlare di male per me, qui ed ora. Diventa vuota la generalizzazione di affermazioni intorno al male (o al bene, o al giusto, o all'ingiusto). La pretesa di parlarne potrebbe essere una illusione, un circolo vizioso del pensare, o una presunzione di onnipotenza. Questo però è un problema dell'etica e non del mondo, che può esistere senza di noi e senza etica.
E' curioso notare come molti siano costantemente alla ricerca del punto di demarcazione tra ciò che è umano da ciò che non lo è, e che questa demarcazione sfugga mano a mano che si affila l'analisi. Sfugge quando tentiamo di affinare il concetto di nascita e di morte. Sfugge quanto approfondiamo l'indagine storica su come nascita, morte e "natura umana" sono state intese nel passato. Sfugge quando studiamo la biologia. Sfugge quando qualcuno costruisce organismi transgenici. Sfugge quando si studiano il funzionamento e i meccanismi di regolazione dei sistemi nervosi. Sfugge quando si studia in modo comparato la trasmissione culturale di comportamenti e dell'uso di utensili tra uomini primitivi, scimpanzé e altri animali. Sfugge quando si immagina la possibilità di forme di vita su altri pianeti. Sfugge quando si guarda agli uomini in prospettiva storica.
Perché la tradizione di pensiero dalla Bibbia a Kant (compresi i deliri Nazisti, che, peraltro, sono una manifestazione esemplare di comportamenti guidati da un'etica forte) non potrebbe essere solo una colossale illusione per tentare di legittimare l'agire (cioè: un tentativo per poter dire che è buono e giusto ciò che uno vuole)? Perché l'agire dovrebbe poter essere legittimabile al di là della soggettiva, arbitraria, manifestazione di preferenza?
Può essere inquietante non trovare appigli per orientare l'agire nella direzione del creduto bene, in modo così radicale. Ma che senso ha affidarsi ad appigli svaniti nel nulla?
Si può ancora pensare di poter fare etica, dopo Darwin?
Saluti.
--
Bruno CAUDANA
b.caudana@ieee.org
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From: Bruno CAUDANA
To: uominieprofeti@rai.it
Cc: altri
Sent: Sunday, February 23, 2003 7:48 PM
Subject: Domande sul 'male'
Durante la vostra trasmissione sul 'male' [UOMINI E PROFETI di Sabato 22 Feb 2003] sembrate aver sottinteso che si possa parlare del male come di una presenza distinta dai 'patimenti' degli individui. Sovente lo avete fatto. Molti lo fanno disinvoltamente. Oggettivare il 'male' sembra facilitare la possibilità di parlare dell'agire bene, di identificare ciò che è giusto. Ma ha senso fare questo?
Perché dovrebbe esserci il 'male' invece che solo il 'patimento', come sembra dare per scontato il prof. Givone? Chi lo dice? Ma, soprattutto, con quali argomentazioni lo si dice?
Che cosa fa ritenere fisicamente sensata la generalizzazione linguistica:
quando poi questa generalizzazione provoca così tanti paradossi nel mondo fisico, e l'insorgere di domande più inspiegabili di quanto non succeda se invece si fa a meno di quella generalizzazione? Non vi fa riflettere che questa annunciata guerra, quando viene analizzata sotto la superficie (come voi stessi avete riconosciuto), si mostra un intrico di interessi di cui è difficilissimo trovare il giusto e l'ingiusto, ma appaia meno paradossale di quanto non sembri se giudicata con categorie di 'male' e 'bene'. Perché intrudurre concetti che producono paradossi dovrebbe aiutare la comprensione delle cose?
Perché dovrebbe essere così chiaro ed evidente saper discriminare il 'giusto agire' secondo più moralità e meno interesse, facendo valere i valori in cui si crede, come dice Tiziano Terzani nelle sue Lettere contro la guerra per evitare la guerra? Proprio il disaccordo sui valori (i 'nostri valori', implicitamente diversi da quelli degli altri), il loro divergere nella storia, insieme alla consistenza fiscamente limitata delle risorse, genera il contrasto degli interessi e la lotta per la sopravvivenza. Forse per questo è difficile diventare santi in questo mondo. Qual era il 'giusto agire' in Rwanda, il più cristiano dei paesi dell'Africa? Evitare la guerra? Così sembra che ci si sia mossi.
Perché il 'male' dovrebbe essere l'eredità, il segno di una provenienza da altrove, la reminiscenza di una caduta, di una colpa originale? Perché, invece, non potrebbe essere più banalmente e crudamente la favola consolatoria prodotta dal desiderio di non soffrire, di non subire il patimento, una favola prodotta dal desiderio di assolverci per la sofferenza che siamo costretti ad infliggere per il solo fatto di vivere? Perché dovrebbe avere ragione Origene (istruito da Platone) a dirci che siamo caduti dal cielo, secondo un come e un quando nebbioso e indeterminabile, e non Darwin a dirci che eravamo batteri un numero misurabile di anni fa e siamo diventati noi attraverso un meccanismo fisico comprensibile che assomiglia ad un tritacarne che si riproduce?
Perché vi lamentate che mancano confronti profondi (ad esempio con l'ateismo di molti scienziati, biologi soprattuto), se poi non siete mai disposti a sondare davvero la consistenza delle proposizioni attorno a cui si organizzano le adesioni di fede in Dio, e non siete disposti a sondare le contraddizioni che da quelle proposizioni si formano, rispetto alle evidenze del mondo fisico che ciascuno di noi può esperire e misurare in modo intersoggettivo?
Io non ho mai trovato nessun 'filosofo della natura' (scienziato, nella accezione corrente) che non fosse disponibile a descrivere e rimettere in discussione i presupposti e le modalità con cui articola la costruzione delle spiegazioni dei fenomeni che indaga, e che non fosse in grado, almeno in linea di principio, di ricostruire i risultati conoscitivi che ottiene. Perché è così difficile ottenere una cosa analoga con i credenti in Dio circa le verità che essi proclamano o sottintendono?
Perché assumere che Dio esiste, se questa assunzione provoca paradossi e produce spiegazioni complicate e incomprensibili anche se consolanti, quando invece il contrario molto meno? Perché continuare a farlo, quando anche (forse-)credenti attenti, come Dietrich Bonhoeffer e Hans Jonas, sembrano in imbarazzo di fronte alla compatibilità tra 'male' e Dio? Per il piacere di consolarsi? Funziona, come anestetico?
Perché non potrebbe darsi che molti uomini si siano semplicemente illusi nel credere all'esistenza di Dio?
Saluti.
--
Bruno CAUDANA
b.caudana@ieee.org
http://www.adaptive.it/ph/tesi.htm
«Votre travail est excellent mais il n'y a pas de trace de Dieu dans votre ouvrage». Laplace lui répondit: «Sire, je n'ai pas eu besoin de cette hypothèse.»
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From: uominieprofeti
To: Bruno CAUDANA
Sent: Monday, February 24, 2003 3:29 PM
Subject: Re: Domande sul 'male'
Gentile signor Caudana, grazie per la sua lettera, ma la lunghezza della medesima, e la quantita' delle questioni poste, mi impedisce di risponderle puntualmente. Posso solo dirle, come impressione generale, che a volte lei assolutizza una singola affermazione, e si mette a lavorarci sopra, perdendo cosi' pero' l'effetto complessivo prodotto da altre affermazioni che seguono. Cosi' sil male, cosi' su presunte nostre lamentele sulla mancanza di confronti profondi con l'ateismo degli scienziati, ecc. Alcune cose, francamente, a me sembra di non averle ne' dette ne' sentite. Abbia pazienza, e ci ascolti con un po' piu' di morbidezza, se puo'. Un cordiale saluto, Ccccccccc
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From: Bruno CAUDANA
To: uominieprofeti
Cc: altri
Sent: Tuesday, February 25, 2003 3:06 PM
Subject: Re: Domande sul 'male'
Gentile signora Cccccccc,
grazie per aver letto la mia lettera. Le assicuro che non ce l'ho con la vostra trasmissione, che trovo molto ben fatta: approfondita, gentile e utilissima. Le assicuro anche che vi ascolto molto di più e molto più attentamente di quanto lei mi pare sia disposta a credere. Ed è ovvio che in una lettera di poche righe, ma già troppo lunga, non posso ripercorrere e discutere ogni parola che dite. Non ne sarei nemmeno lontanamente capace. Scelgo arbitrariamente le questioni che mi sembrano più rilevanti per un dialogo. Sa, le parole si prestano ad essere scelte, riassunte, equivocate, malintese, e sono fatte per lavorarci su. A volte capita che raggiungono anche ambienti ostili.
Posso aver equivocato sul vostro desiderio di confronto. A me è parso di ascoltare, verso la fine della trasmissione, che lamentavate la mancanza di un confronto profondo dell'esperienza religiosa tra le culture non solo dove c'è rifiuto, ostilità, indifferenza ma anche dove c'è accettazione e comprensione. Voi lamentavate mancanza di confronto profondo rispetto a quanto accadeva, invece, intorno a figure come quelle di Massignon e della Weil. Io mi sono permesso di estrapolare il vostro desiderio di confronto anche con chi mette in totale dubbio la consistenza delle affermazioni su cui si fondano le adesioni di fede. Ma forse voi non volete mettere in questione questo. E allora, se è così, io rispetto quel vostro desiderio. Le confesso che a me è rimasto più di un dubbio sulla reale rappresentatività del pensiero ateo con cui vi siete confrontati, ma non ricordo più bene quelle trasmissioni e perciò non ne voglio parlare.
Circa la morbidezza non so bene cosa dire. La questione è se, con le cose che man mano andate affrontando, voi volete fare della storia del pensiero religioso e della affabulazione letteraria, oppure se pensate di occuparvi di questioni che sono considerate legate a 'realtà' conoscibili e sensate anche per teppisti come me (pur con tutte le cautele filosofiche da assumere a proposito del termine 'realtà').
Nel primo caso, non ho nulla da eccepire. Trovo molto raffinate le cose che dite, e utili per avere una percezione di ciò che il pensiero religioso produce e ha prodotto nella sua storia. Molto interessante la serie di Paolo Ricca sul Cristianesimo delle origini, o la carrellata sul pensiero di Hannah Arendt, ad esempio. Ma sollecita, per così dire, un interesse da entomologo, e non un dialogo nel merito delle questioni (come, ad esempio, la questione se, e fino a che punto, si possa fare etica o solo etologia oggi, questione che il parlare del 'male' si tira dietro automaticamente).
Nel secondo caso invece, e cioè nel caso che vogliate entrare in un dialogo di merito sulle questioni della 'realtà' (non tanto con me, che sarebbe irrilevante, ma con quel modo di pensare pratico che produce le proposizioni etichettate come 'scientifiche'), credo dobbiate alzare lo standard argomentativo e tralasciare un po' le pratiche affabulatorie. Il pulpito e la democrazia non valgono in quel contesto. Valgono solo le argomentazioni convincenti e coerenti con le evidenze fattuali, senza rispetto per niente e nessuno, e senza limitazione di campo. Nessuno lì accetta la legge di Newton perché è votata a maggioranza o perché è raccontata da una autorità. Viene accettata perché funziona, finché e fin dove funziona. Guadagna autorità se resiste a confutazioni sperimentali prodotte, in genere, con atteggiamento ostile. Gli slittamenti di significato, il girare in tondo con raffinate locuzioni, le affermazioni non verificabili (come la questione della caduta dal cielo, detta così, senza argomentazioni), Dio che parla agli uomini, l'uso disinvolto di metafore (la differenza di potenziale che schiaccia del brano di Massignon, in fisica non ha senso; una differenza di potenziale produce un flusso semmai, non schiaccia alcunché; senza una differenza di potenziale non si muove alcunché: né informazione, né masse, né cariche), ecc., non sono cose molto ben viste, in genere. Credo che nessuna delle affermazioni dei Vangeli o del Genesi, ad esempio, verrebbe presa come fondamento di alcunché, oggi, nemmeno come intuizione metaforica. Le mie domande sul 'male' erano a segnalare forti carenze argomentative, a mio parere. Forse io mi perdo nei dettagli e non colgo il grande disegno, ma se guardiamo al grande disegno, e tralasciamo i dettagli, anche un oroscopo è denso di significati.
Ora, visto che i ragionamenti etici hanno, in genere, pesanti riflessi sulla sofferenza e possono mettere a repentaglio l'incolumità e la vita di chi ne subisce le conseguenze, mi farebbe piacere che quei ragionamenti raggiungessero il minimo standard di qualità che si richiede ai ragionamenti che servono per fare stare in piedi un ponte, per costruire vaccini, per fare un atto chirurgico, o anche solo per non far perdere le ruote ad un'auto in corsa o per forgiare e affilare i machete usati in Rwanda. Vorrei ricordare che i ragionamenti per forgiare i machete sono di pubblico dominio da almeno 3500 anni, quelli per scheggiare pietre e farne lame e punte di freccia lo sono da molto più tempo ancora. Ma vorrei soprattutto ricordare che a guidare le azioni che impugnano i machete sono desideri che si vorrebbero plasmati da idee di bene e di male che discendono da ragionamenti etici.
A mio modo di vedere però, i ragionamenti etici ricorrenti sono ben lontani da quegli standard minimi di affidabilità. Per lo più sono dei predicozzi che hanno la consistenza dell'aria fritta. Nella mia precedente lettera (quella a proposito di Hannah Arendt) ho provato ad argomentare come i ragionamenti etici non possano essere fondati oltre il conflitto di preferenze arbitrarie, almeno dopo Darwin. Per farlo occorrerebbe perciò almeno smontare Darwin, ma vi assicuro che non è impresa semplice, soprattutto oggi più ancora che 150 anni fa. Non stupitevi perciò se molti ignorano i ragionamenti etici, altri ne approfittano strumentalmente, e alcuni ci ridono su. Detto questo, ognuno pensi come vuole, e prenda piacere dove vuole. Non credo di avere molto di più da dire.
Scusi la brutalità. Le assicuro che non c'è niente di personale. Nessuno può avere alcunché di personale con chi ha un garbo e una voce come la sua.
Saluti.
--
Bruno CAUDANA
b.caudana@ieee.org
http://www.adaptive.it/ph/tesi.htm
----- Original Message -----
From: "uominieprofeti"
To: "Bruno CAUDANA"
Subject: Re: Domande sul 'male'
Date: 26 February 2003 19:28
Gentile signor Caudana, non si deve giustificare per le sue affermazioni. Vanno benissimo. Ma avolte se ci si mette a spiegare tutto, parola per parola, si finisce che non si va avanti! D'altronde una trasmissione alla radio deve, per forza, avere una sua "sinteticita'" e dare per scontate cose che qualcuno vorrebbe approfondite, approfondirne altre che qualcuno da' per scontate. Facciamo quel che possiamo. Su una cosa pero credo di dissentire. Non il "pensiero ateo", ma la prospettiva dell'incredulita', del dubbio, dall'agnosticismo credo che sia inevitabilmente presente in ogni cosa che diciamo. Possibile che le sfugga? Cordiali saluti, Ccccccccc
-----Messaggio originale-----
Da: Bruno CAUDANA [b.caudana@ieee.org ]
Inviato: domenica 23 marzo 2003 18.37
A: uominieprofeti
Oggetto: A
proposito di Carlo Galli su Carl Schmitt
Gentile signora Caramore,
trovo perfette le poche battute di Carlo Galli su Carl Schmitt e a proposito della radice teologica di ogni legittimazione politica (ma, estenderei io, di ogni legittimazione etica normativa). Concordo nel ritenere vacue le pretese laiche di trovare fondamento all'azione politica al di fuori di una legittimazione teologica, nel senso espresso da Carlo Galli. Ogni laico, se vuole mantenere coerenza di pensiero, dovrebbe riconoscere la radicale arbitrarietà etica delle azioni scelte tra quelle fisicamente possibili. Cioè accettare la riduzione dello "agire bene" allo "agire secondo preferenza".
La radicale arbitrarietà delle preferenze è anche quello che rende totalmente inaffidabili i ragionamenti etici, nel momento in cui volessimo basare su di essi previsioni di comportamento nel modo che facciamo con ragionamenti basati su "leggi" (o meglio "regolarità") fisiche. Questo era il senso della mia diffidenza verso i ragionamenti etici che ho manifestato nelle lettere precedenti intorno ad Hannah Arendt e al problema del "male VS patimento".
La riduzione della evoluzione degli organismi biologici a meccanismo materiale, operata da Darwin, incorpora questa arbitrarietà di azione (la sovranità dell'esperimento comportamentale, la decisione sovrana, se vogliamo riferirci ai concetti di Schmitt evocati durante la trasmissione) e ne fa elemento costitutivo del meccanismo evolutivo. Se perciò consideriamo "vera" l'evoluzione secondo Darwin (nel senso in cui attribuiamo verità intersoggettiva alle affermazioni "scientifiche"), siamo costretti a cessare di parlare di "verità" a proposito dello "essere buona o giusta" una azione. In questo senso dicevo che occorre smontare Darwin prima di poter considerare "VERAMENTE buona e giusta" una azione. Senza ciò, la bontà o giustezza di una azione restano legate alla arbitrarietà del fondamento teologico assunto, come ha ben sintetizzato Carlo Galli.
Mi sembra di aver notato un'ombra di sconforto nelle sue parole quando lei ha provato ad aggrapparsi al concetto di "responsabilità" come via d'uscita da questo nichilismo etico/politico che potrebbe anche legittimare cose simili al nazismo. Io temo che non ce ne siano, vie d'uscita, che, in modo non arbitrario, permettano di distinguere il bene dal male. L'essere "responsabile" di una azione non dice nulla sulla fondatezza della (eventuale) bontà di quella azione. Saremo sempre solo buoni Cristiani, buoni Islamici, buoni quello che diremo di essere, temo. La cosa non fa sperare cose gradevoli, se pensiamo ai limiti delle risorse [Why not an oil war?].
Le vostre trasmissioni sono sempre splendide.
Saluti.
--
Bruno CAUDANA
b.caudana@ieee.org
http://www.adaptive.it/ps/e_whynotoilwar.htm
----- Original Message -----
From: rilli@sogin.it
To: b.caudana@ieee.org
Sent: Wednesday, March 26, 2003 7:52 PM
Subject: R: A proposito di Carlo Galli su Carl
Schmitt
Non ho seguito nulla di quanto è stato detto da Carlo Galli su Carl Schmitt, né dalla sig.ra Caramore a lei.
E' elettrizzante provare a dire qualcosa senza sapere nulla di ciò che già è stato detto.
Io non credo che ciò che è etico implichi una qualche correlazione teologica.
Alla base di questo vi è il fatto che la questione della esistenza di "dio" è assolutamente irrilevante ai fini della decisione sui comportamenti da tenere. Si può infatti immaginare l'irritazione di tale entità (non definita) di fronte ad un malcapitato che abbia per tutta la vita tenuto un certo comportamento piuttosto che un altro, solo perché credeva nella esistenza di tale "dio".
Si deve tenere esattamente lo stesso comportamento sia se si crede in dio, sia se non ci si crede (e anche se semplicemente non ci si vuole esprimere). Questo non è un dettato etico, ma serve solo per fare le cose con stile.
Credo infatti che ci si debba dare un contegno, anche quando si capita in mezzo ad una situazione della quale non si capisce gran che. La forma migliore dello stile è agire nelle circostanze più ridicole, i.e. senza aver afferrato gran che di ciò che sta succedendo, pur mantenendo il massimo di dignità individuale e collettiva nell'agire: lo stile appunto.
Quindi ciò che è etico non deve necessariamente avere che vedere con "dio". Bensì è una questione di stile. Stile che, apparentemente, è una cosa non ben definita; eppure costituisce una guida sicura. E questo si applica a qualsiasi tipo di comportamento, inclusi i cimenti scientifici. E si può applicare anche se si fosse soli su un'isola sperduta.
I comportamenti etici sono a mio avviso molto più frequenti di quanto non si pensi. Nel porgere un biglietto da 50 euro alla cassiera quasi mai si cerca prima un testimone o si va dal notaio. Bensì, con stile (per motivi etici), abbiamo preso l'abitudine di fidarci e la cassiera, sempre per una questione di stile (cioè etica) non ci dirà mai, dopo aver intascato il biglietto da 50 euro e senza averci dato alcun resto: "signore, si decide allora a pagare?". Si noti che è su questo modo di fare che si basa tutta la nostra economia ed il nostro modo di vivere inclusa la qualità della vita.
Per quanto riguarda la catena fede, verità, ragioneteologica, etica, scienza, io credo che la scienza sia in realtà solo apparentemente collegata ai miti condensati nelle parole che la precedono.
L'elenco da lei fatto dei 19 punti per cui Darwin non piace, è veramente notevole. Debbo però rilevare che la frase "sopravvive il più adatto" potrebbe anche essere riconosciuta come una semplice tautologia portatrice di nessunissima conseguenza. Qui mi fermo perché c'è un irriverente detto da osteria che suona "penso, ripenso e penso/col pensare impazzo/dopo aver pensato tanto/non ho pensato un -----". E' una frase un po' ridanciana ma io la uso spesso nei miei confronti per impormi dei freni, una pausa di riflessione ed una verifica. C'è del vero però. In effetti se si cerca di avvicinarsi sempre più ad un dettaglio e nel fare ciò, senza accorgersene, si superano i limiti della definizione dell'oggetto medesimo dell'indagine, da un certo punto in poi, superati appunto i limiti della definizione che abbiamo dato all'oggetto della nostra indagine (cosa che lei giustamente stigmatizza nel suo scritto), ci si accorge di aver perso di vista l'oggetto stesso. E da quel momento in poi ci si è persi. E' una cosa che assolutamente non deve sorprendere. E' per questo che per quanto mi riguarda mi limito a cercare di mantenere solo un certo stile. Stile che ho molto apprezzato ciò che lei ha scritto e che mi ha inviato.
Insomma tutto questo per dire che io credo che ciò che si deve fare è limitarsi a cercare di agire con stile, e si ottengono conseguentemente e gratis degli ottimi risultati, soprattutto nel campo della scienza.
Mi farebbe piacere se lei potesse confermarmi che non trova quanto sopra completamente dissennato. Non è un caso che quello che lei veramente contesta ai sostenitori dei 19 punti, è appunto una mancanza di stile.
Cordiali saluti
Aaaaaa RRRRRR
Roma 030326E1938
----- Original Message -----
From: Bruno CAUDANA
To: rrrrrrr@ssssssssss
Cc: galli@bbbbbbb ; uominieprofeti
Sent: Wednesday, April 23, 2003 4:19 PM
Subject: Re: A proposito di Carlo Galli su Carl Schmitt
No, non trovo dissennato quello che dice nella sua e-mail. Ma lei dà per scontato che "agire con stile" e "tenere un comportamento etico" sia sinonimo di "agire secondo il bene universale", e presuppone che questo "bene universale" sia incastonato nelle cose. Credo che la questione sia più complessa. Non lo dico per amore della complicazione, ma perché la cosa non quadra con la realtà dei fatti che esperiamo in modo condiviso. La cassiera di cui lei parla forse no, ma qualcuno, a volte, fa finta di aver pagato, mentre non lo ha fatto. Magari fa così perché ha fame, magari no.
Altro esempio. Sembra evidente che NON dotarsi di armi nucleari sia un bene per l'umanità. Perché una cosa così facilmente praticabile a costo zero non viene praticata? Siamo davvero sicuri che il "bene" sia così evidente? Siamo sicuri di aver formulato la questione in modo adeguato ed esauriente? Basta evocare la presenza del maligno per spiegare il fallimento del "bene"?
La trasmissione a cui ho fatto riferimento è quella del 23/03/2003 (parte iniziale, nell'ambito di una interessante analisi in più puntate del pensiero di Ibn Taymiyya, un giurista islamico a cavallo del 1200-1300, a cura di Caterina Bori). La si può ascoltare qui:
http://www.radio.rai.it/radio3/uomini_profeti/index.cfm,
Durante la trasmissione, Carlo Galli ha tracciato un brillante schema del pensiero di Carl Schmitt riguardo al fondamento su cui poggia la costruzione di un sistema di norme giuridiche. Per Carl Schmitt esso poggia sul concetto di "decisione sovrana", intendendo con questo un atto eccezionale tendenzialmente arbitrario al di fuori della norma di cui sta a fondamento. Questo concetto non è da intendersi tanto (o solo) in senso storicistico di un "prima" e di un "dopo" (prima la decisione sovrana, dopo il corpo delle leggi), ma in senso logico formale, cioè nel senso che, scavando i fondamenti di ogni sistema giuridico, si trova la "decisione sovrana", arbitraria in quanto fondata sul nulla (ovvero su un atto di fede), che fa valere un certo insieme di norme giuridiche (un corpo giuridico o un altro, un sistema di valori o un altro).
In questo NULLA da cui scaturisce la legge sta la radice teologica anche dei sistemi giuridici laici. Che il fondamento di un sistema di norme di comportamento poggi su di un atto di fede nella parola di Dio (ma, antropologicamente, molti sono gli Dei che parlano agli uomini), su una consuetudine culturale ad agire secondo un sistema di regole di comportamento apprese che non vengono di continuo ridiscusse (la sua "questione di stile": pagare alla cassiera senza notaio), sulla fede nella ragione, sul caso, ecc., resta il fatto che tale fondamento è una scelta tra molte fisicamente possibili. L'essere quelle norme di comportamento tali quali sono è il risultato evolutivo di "decisioni sovrane", di cui tutt'al più si dimentica o si ignora l'origine arbitraria.
Non a caso un pensiero militare, che sia degno di dirsi tale, valuta, almeno come minaccia, tutte le alternative fisiche possibili che riesce a prefigurare, indipendentemente dalla loro consistenza giuridica o etica, in funzione della missione da compiere, che è assunta come un desiderio arbitrario, una specie di "decisione sovrana". Sono esempi di conseguenze di decisioni sovrane l'attacco alle Twin Towers o la decisione di praticare lo "shock and awe" lanciando le bombe atomiche alla fine della seconda guerra modiale da parte US. Non voglio entrare nella infinita e indecidibile discussione teologica sul loro essere manifestazione del male o del bene. Le cito come esempi della asimmetria tra forza/decisione sovrana VS diritto/normazione etica.
Veda a proposito il famoso passo di Machiavelli: { “E molti si sono immaginati repubbliche e principati, che non si sono mai visti né conosciuti essere in vero; perché elli è tanto discosto da come si vive a come si dovrebbe vivere, che colui che lascia quello che si fa per quello che si dovrebbe fare, impara più tosto la ruina che la preservazione sua: perché uomo, che voglia fare in tutte le parte professione di buono, conviene rovini infra tanti che non sono buoni. Onde è necessario a uno principe, volendosi mantenere, imparare a potere essere non buono, et usarlo e non usare secondo la necessità”. [N. Machiavelli, Il principe, XV, 1513.]}. Cioè: "si vis pacem, para bellum".
Vorrei chiarire brevemente l'uso che io faccio tel termine ETICA e dei sui derivati (aggettivazioni, sinonimi come "morale", ecc.). Per ETICA intendo una disciplina di pensiero che ha l'intenzione di individuare in modo argomentato comportamenti buoni e comportamenti non buoni, in relazione a soggetti o ad aggregazioni di soggetti, particolari (es.: un gruppo definito di uomini) o generali (es.: la classe degli esseri umani). Il risultato di questa attività speculativa ha connotazioni normative (un certo soggetto in certe condizioni dovrebbe adottare un certo comportamento risultante perché tale comportamento sia qualificato buono). Nella speculazione intorno all'ETICA sta anche quella attività tendente a chiarire i limiti e il senso di tale disciplina. Personalmente sono incline a ritenere che a fondamento delle argomentazioni etiche, nel senso definito sopra, stia il NULLA di cui parla Carl Schmitt, e che le argomentazioni che si fanno per stabilire un "buon comportamento" non siano operazioni conoscitive, ma siano tendenzialmente azioni retoriche atte a smuovere le passioni/desideri degli individui. Per ETOLOGIA invece intendo la osservazione e lo studio empirico dei comportamenti così come si manifestano nei relativi contesti storici e ambientali. Non uso perciò l'aggettivo ETICO come sinonimo di UNIVERSALMENTE BUONO di per sé, come di recente si sente fare (es: "finanza etica" per dire una finanza che promuove solo operazioni economiche connotate dalla bontà, "codici etici" nelle imprese, ecc.). Quest'uso del termine ETICA implica che il procedimento per identificate la virtù sia universale, unico e conoscibile. Tutte cose ben lungi dall'essere evidenti, a mio parere. Se così fosse non ci sarebbero paradossi etici e conflitti, mentre così non pare.
Lo "aver ragione" riguardo al proporre un sistema di valori (e una conseguente lista di azioni lecite e buone tra le azioni possibili) rimane legato alla assunzione, implicita o esplicita, di una preferenza arbitraria, di una certa particolare "decisione sovrana", che non ha nulla di universale, nel senso che diamo alla universalità di una legge fisica, cioè la capacità di discriminante tra ciò che può fisicamente accadere e cosa no, secondo la relativa misura di probabilità. L'adozione di una "decisione sovrana" ha il carattere di un "accidente congelato" nello snodarsi delle interazioni fisiche. Se noi intendiamo per verità quel tipo di verità che si attribuisce alla formulazione in legge di una regolarità fisica, e cioè la capacità di discriminare ciò che è fisicamente possibile da ciò che non lo è, e diciamo questo essere universalmente vero (ma io preferirei dire "cogente dal punto di vista fisico"), allora noi non possiamo dire nello stesso senso che sia universalmente vero ("cogente dal punto di vista fisico") un atto normativo che prescrive come buono un comportamento tra molti fisicamente possibili. Non possiamo dire quel comportamento essere veramente buono al di là del fatto che ci piaccia considerarlo tale. Esso resta legato al suo carattere di arbitrario/casuale "accidente congelato" nella storia, al suo carattere di preferenza arbitraria. Ha la stessa valenza di un qualsiasi altro evento, come una casuale mutazione o ricombinazione genetica o una variazione casuale di ambiente, e non ha la cogenza di una regolarità fisica.
Se lascio cadere un sasso e schiaccio una zanzara posata per terra, si può dire che è vero che il sasso cade per terra e schiaccia la zanzara a causa dell'energia di impatto calcolabile secondo le usuali leggi fisiche. Si possono inoltre formulare almeno due leggi morali incompatibili tra loro, ma entrambe compatibili con le leggi fisiche: si deve schiacciare la zanzara, non si deve schiacciare la zanzara. Della loro verità non si può dire nulla. Entrambe identificano e circoscrivono un sottoinsieme lecito tra i comportamenti fisicamente possibili e stabiliscono un criterio di liceità. Non si può nemmeno dire che schiacciare la zanzara o non schiacciarla è una cosa veramente buona se non si introduce il "buono per chi" in modo molto circostanziato. Probabilmente non è cosa buona per la zanzara né per il plasmodio della malaria che mi avrebbe inoculato, ma probabilmente è buono per me. Nessuno sa dire in astratto se e per chi sia buono che io non sia morto di malaria. Per esempio, si potrebbe correttamente argomentare che la mia morte prematura di malaria avrebbe tolto di mezzo un forte consumatore di energia e causa di usura dell'ambiente, e ciò avrebbe consentito, a parità di usura dell'ambiente, la sopravvivenza di 16 indiani in vece mia. Cattivo per me, ma buono per la conservazione dell'ambiente e per i 16 indiani. Decidere quale di quelle due leggi morali debba vigere, il fatto che io schiacci quella zanzara o no, ecc., sono eventi, "accidenti congelati" che fanno prendere una direzione o un'altra ai mondi possibili, ma restano compatibili con le leggi fisiche e non le non alterano. Cambiano in qualche modo la storia del mondo come avrebbe cambiato un po' la storia del mondo se invece dello spermatozoo che ha prodotto Napoleone avesse avuto successo lo spermatozoo che avrebbe prodotto una Bonaparte femmina. In altri termini, sembra che non riusciamo a parlare del bene se non introduciamo la nozione di interesse e la disamina accurata dei soggetti interessati.
Se si schematizza brutalmente il concetto di "realtà", sembra di poter dire che nella "realtà" accadano eventi dovuti ad interazioni fisiche che trasformano uno stato del mondo in un altro. Queste trasformazioni accadono in conformità a regolarità della natura che circoscrivono le trasformazioni possibili. La successione degli stati del mondo ottenuta dalla applicazione ricorsiva delle regolarità costituisce l'evoluzione del mondo (il suo snodarsi nel tempo). In questo schema, i comportamenti (ivi compreso il comportamento di far valere una norma etica/giuridica) sono eventi, le leggi fisiche sono regolarità della natura. La identificazione di regolarità da parte di organismi che sono un sottoinsieme degli stati del mondo può essere considerata un evento. Quello che sappiamo della capacità dei reticoli di neuroni di modellizzare regolarità consente questa interpretazione. I reticoli di neuroni modellizzano regolarità in modo più o meno corretto in funzione della loro esposizione, attraverso canali sensoriali, ad eventi modulati da regolarità. Ovviamente quanto detto qui è soltanto uno schema rozzo che meriterebbe approfondimenti ben più consistenti, ma serve per indicare una traccia di ragionamento.
Questo schema funziona in modo del tutto analogo a quanto fa un algoritmo ricorsivo che, a partire da un input (stato i), produce l'output (stato i+1), applicando una regola di calcolo (regolarità, legge di controllo, ecc., che può, tra le altre, avere la regola di produrre parziale casualità) e, al passo successivo, utilizza l'output precedente come input della successiva applicazione e così via. L'intelligenza, varietà e imprevedibilità di comportamento che esibiscono dispositivi che incorporano questo semplice schema operativo è impressionante, pur dotati di semplici leggi di controllo. Ad esempio i loop di controllo dotati di feedback.
L'identificazione e traduzione in algoritmo di una regolarità esperita è la radice dell'attività scientifica per eccellenza. Il far variare l'identificazione e la traduzione della regolarità in formalismo finché questa rende ragione degli eventi esperiti (e spera di rendere ragione degli eventi non ancora esperiti in virtù dell'aver realmente identificato una regolarità della natura) caratterizza il senso di "legge scientifica" e di atteggiamento "scientifico". Se una presunta legge scientifica non rende ragione dei fatti esperiti, si cambia la formulazione della legge o ne si limita il campo di validità, ma si lasciano inalterati gli elementi esperiti.
La intenzione/pretesa di normare comportamenti mediante un atto della volontà/desiderio da parte di organismi biologici, restringendo la gamma dei comportamenti ad un sottinsieme detto lecito tra quelli fisicamente possibili (cioè quelli ammessi dai vincoli imposti dalle regolarità della natura), caratterizza invece il concetto di "legge morale" (o giuridica, che ne è la formalizzazione, a mio parere).
L'equivoco/confusione tra le due accezioni del concetto di "legge" sta forse alla base di molte ottimistiche illusioni del pensiero illuminista, ed è, forse, quello che fa presumere a Kant una cogenza della ragione sulla morale che di fatto non funziona. Ora capiamo meglio perché non funziona, ma allora poteva essere più difficile capirlo. A quel tempo il modello di scienza per eccellenza era la meccanica celeste, dove confondere i due aspetti "esplicativo" e "normativo" del concetto di legge è abbastanza irrilevante. Non è un mistero che Kant avesse come modello la fisica di Newton, nel suo tentativo di circoscrivere i limiti della ragione e di formulare le leggi necessarie della morale. Inoltre, ad esempio, non si sapeva ancora nulla dei principi termodinamici e del concetto di entropia. Il concetto di "lotta per la sopravvivenza in regime di risorse scarse" non fu formulato fino alla comparsa del "principio di popolazione" di Robert Malthus (1798, anche se il problema popolazione/risorse era già prima presente nel dibattito di chi trattava argomenti demografici). Inoltre non pare che esso abbia avuto grande influenza nelle riflessioni intorno all'etica fatte dai vari pensatori dell'epoca. Di sicuro nessuno aveva fatto di questo concetto il cardine di una vera rivoluzione nel modo di concepire come i tratti degli esseri viventi (compresi i tratti intellettuali e comportamentali) potessero evolvere nel corso di un processo puramente materiale, come fecero Darwin e Wallace. Questo difetto di origine sembra anche poter spiegare le molte difficoltà che le discipline economiche incontrano nel descrivere e prevedere i comportamenti economici degli uomini. Va ricordato che l'economia, come disciplina, nasce come branca dell'etica in quel periodo precedente a Darwin.
In questo senso io credo sia profondamente sbagliato intendere la formulazione darwiniana dell'evoluzione mediante selezione naturale come una teoria che ci consente di discriminare ciò che è veramente buono e giusto, concludendo che è veramente buono e giusto ciò che ha portato il più adatto a sopravvivere. Questa è la radice di tutte le interpretazioni ideologiche di Darwin da cui io profondamente dissento. Questa interpretazione è un circolo vizioso, una tautologia, come lei correttamente sottolinea. Intenzioni etiche normative e aspetti ideologici si trovano in Robert Malthus e in Herbert Spencer (nei ruoli rispettivamente di parziale precursore ed di epigono), ma attribuirli a Darwin è un profondo errore che impedisce di apprezzare la gigantesca importanza conoscitiva del suo pensiero. Per Darwin i comportamenti sono espedienti di sopravvivenza, non doveri di ragione. Sono abilità acquisite come le abilità predatorie e le stesse facoltà intellettuali, e in ogni momento oggetto di minaccia da parte della selezione naturale. Si tratta di un radicale cambiamento di prospettiva, rispetto alla presunta cogenza della ragione sui comportamenti.
La grandezza di Darwin, a mio parere, sta nell'aver proposto, come spiegazione del formarsi di organismi che si differenziano durante il processo evolutivo, un meccanismo ricorsivo che ingloba gli effetti di eventi arbitrari e casuali, come il concetto di "decisione sovrana" e altre casualità, come la mutazione e la ricombinazione genetica o la variazione ambientale. In altre parole, Darwin ha proposto, per spiegare la diversità biologica e il suo formarsi, un meccanismo universale che funziona indipendentemente dalle "decisioni sovrane" e dalle altre casualità che formano gli "accidenti congelati" della storia/successione delle interazioni fisiche. In quel meccanismo spariscono i finalismi che ingombrano i nostri pensieri e sparisce la possibilità di poter parlare di valori etici universali come di qualcosa la cui consistenza sia più fondata di quanto lo sia una allucinazione. Semplicemente si prende atto di quel meccanismo ricorsivo detto "evoluzione per selezione naturale", così come si prende atto della forza di gravità, dell'elettromagnetismo, ecc. Il finalismo, che un approccio incline a considerare l'etica fondata nella realtà fisica attribuisce alla "natura umana" e al cosmo, possono essere reinterpretati semplicemente come proiezione/generalizzazione di desideri senza alcun correlato fisico oltre l'attività neuronale del desiderare/generalizzare nei soggetti che pensano quella generalizzazione. Credere in Dio equivale ad avere una allucinazione, in questa prospettiva. Così come credere di conoscere il vero bene.
Come ho cercato di mostrare, non basta fare della cosa "una questione di stile" per poter universalizzare un certo sistema di valori, come non basta proclamarne una origine trascendente o una astratta razionalità. Spero di aver chiarito meglio cosa intendo quando parlo di inaffidabilità dei ragionamenti etici, compreso quello che ci porta a preferire ed eventualmente praticare l'adozione del nucleare civile come fonte energetica, o ad esportare la "democrazia utilitaristica" nel mondo. Essa sarà sempre solo una preferenza locale/soggettiva, e infondata, se la assumiamo come "bene comune" universale, come tutte le altre formulazioni etiche e politiche. Occorre essere cauti nel dare per scontata l'universalità delle assunzioni di valore che facciamo localmente. Ad esempio: quella di considerare "scelta razionale universale" la decisione di non usare come arma la tecnologia nucleare.
A riprova di ciò, constato che chi si è dotato di tecnologia nucleare l'ha usata sia per centrali che per armamenti (forse più per armamenti che per centrali), o ha piani per rapidamente arrivare ad armi. Per questo ribadisco i miei dubbi circa la possibilità di instaurare un regime di governo dei controlli sulla tecnologia e sul combustibile nucleari fidandosi di ipotetici valori e ragionamenti etici condivisi.
Così pure trovo un'utopia pericolosa quella di pensare di poter regolare il mondo con un progetto di esportazione del sistema occidentale di valori di oggi, come sembra essere l'attuale strategia del governo US. Questo modo di pensare è figlio, magari inconsapevole, di alcune leggerezze poco meditate dell'illuminismo, come confondere il concetto di "legge scientifica" con quello di "legge morale", o presumere l'esistenza di una "razionalità etica".
Ovviamente, con queste mie riflessioni, provo sempre solo a sondare la consistenza dei ragionamenti basati su assunzioni etiche di valore, sperando di riuscire a spiegarmi. Non ho altre pretese.
Saluti cordiali anche a lei.
--
Bruno CAUDANA
b.caudana@ieee.org
http://www.adaptive.it/ph/male.htm
http://www.adaptive.it/ph/nucletic.htm
P.S.: Scusi se le ho risposto così in ritardo, ma sono stato preso da alcuni lavori urgenti.
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