Al prof. Vttorio Possenti
Ordinario di Filosofia Morale all'Università di Venezia
e membro del Comitato Nazionale di Bioetica
[ questa lettera aperta si trova anche qui: http://www.adaptive.it/ph/embrio.htm ]
Ho molto apprezzato il suo ricondurre la questione bioetica alla ricerca della NATURA UMANA in senso aristotelico; alla esigenza di recuperare l'essenzialismo per contrastare esiti nichilistici verso una libertà senza norme. Penso anch'io che qualsiasi etica che voglia presentarsi come ragionamento fondato sulla verità, e non in balìa del puro VOLERE con esiti verso un nichilismo etico, possa ridursi a quella forma e debba ancorarsi ad una qualche nozione di NATURA in senso aristotelico, e con ciò debba introdurre termini metafisici. Con essa, concordo con lei, lì si deve ancorare anche ogni formulazione di diritto che voglia sottrarsi alla arbitrarietà dei VOLERI in conflitto, fosse pure la nozione più debole e contrattualistica che si possa immaginare, come il referendum su ogni possibile decisione particolare. Infatti richiederebbe ancora la nozione metafisica di pensare che sia BENE sottomettersi al responso del referendum, anziché ricorrere all'esercizio del proprio libero arbitrio di coscienza. Si tratta dei famosi valori fondanti.
Mi riferisco in particolare ai suoi scritti reperibili qui:
http://www.portaledibioetica.it/documenti/002280/002280.htm
http://www.portaledibioetica.it/documenti/002281/002281.htm
http://www.portaledibioetica.it/documenti/002282/002282.htm
Dubito però che l'essenzialismo sia l'unico esito possibile per l'etica se intesa in modo diverso, cioè come discorso che può NON dare luogo a verità ultime e NON essere conseguenza di tali verità. Dubito cioè che sia obbligatorio ricondurre l'etica a dipendere da una NATURA aristotelica. Dubito che si possa eliminare il VOLERE fare questa riduzione e risulti un OBBLIGO della ragione farla. Si può più semplicemente privare il discorso etico dello statuto di ragionamento. Cioè è possibile ritenere che l'etica, intesa come ragionamento dotato di verità, non sussista. Anzi è molto probabile che sia così. D'altra parte la storia degli organismi biologici mostra che si può vivere senza ragionamenti etici. La via di Aristotele, a conti fatti, appare l'unica via razionale all'etica assoluta e oggettiva, ed è quella a cui tutte quelle altre formulazioni dell'etica, che hanno l'ambizione di essere assolute e oggettive, possono essere ricondotte. Ma quella via è anche tendenzialmente impossibile nel mondo fisico dove tutto è mutamento, dinamica, storia.
Fare un'etica essenzialista mediante un ragionamento esclusivamente basato sul logos racchiuso in se stesso (la ragione dei greci) non produce necessariamente ragionamenti affidabili nel mondo fisico. Anche i ragionamenti che fanno concludere a Zenone di Elea che il movimento non esiste (Achille e la Tartaruga, etc.) sono ragionamenti di puro logos che in casi particolari possono non essere del tutto scorretti. Se scriviamo l'equazione cinematica di Achille e la Tartaruga, ci accorgiamo che nel caso particolare in cui il tempo tende al momento in cui Achille raggiungerà la Tartaruga, il ragionamento di Zenone può stare in piedi. Ritradotto in formulazione verbale suonerebbe così: Achille non raggiungerà mai la Tartaruga finché non la raggiungerà. È un ragionamento corretto, ma tautologico. Oggi noi sappiamo dalla fisica sette-ottocentesca che si può fare anche un altro ragionamento più interessante e affidabile che rende ragione del movimento fisico: quello descritto dall'equazione cinematica del problema posto da Zenone. Il logos lasciato a se stesso non basta per fare ragionamenti affidabili sul mondo fisico senza osservazione indipendente dal logos che lo orienti e lo confini. Possiamo forse assiomatizzare rigorosamente molte etiche, ma nessuna avrà mai da sé radicamento fisico, né dirà mai nulla di COGENTE sul mondo fisico.
Nota su pensiero astratto e metafisica. Pur nella contiguità che c'è tra metafisica e logica o matematica con le loro estensioni epistemologiche e meta-teoriche, non sono convinto che se la matematica offrisse come soluzione 2+2=150 (nella usuale accezione di ragionamento utile al conteggio) essa avrebbe un posto di rilievo tra le nostre facoltà intellettuali. Escludere del tutto il confronto col mondo fisico persino per pratiche astratte e tendenzialmente metafisiche non sembra produrre senso, che è ciò che si cerca con l'introduzione di termini metafisici: senso a fenomeni fisici, per esempio senso all'esistere dei pensanti, cosa che lei pare intendere fare con il suo approccio essenzialista. Ce ne accorgiamo facilmente quando il ragionamento astratto produce divergenza rispetto al riferimento dei sensi (divergenza dai segnali sensoriali), se la cosa non tocca troppo da vicino la nostra reazione di autoconservazione. Se la geometria non avesse prodotto pratiche affidabili di ritracciamento dei confini dei campi invasi dal Nilo ad ogni piena, perciò utile a ridurre inevitabili zuffe e faide, probabilmente non si sarebbe via via raffinata e conservata come pensiero astratto. Idem per altre tecniche matematiche che la storia delle matematiche ci racconta. Né la pratica di pensiero astratto sembra prerogativa esclusiva di primati umani. L'etologia ci dice che anche altri animali non umani e non primati mostrano capacità di pensiero astratto come il contare. Di sicuro molti, se non tutti gli organismi biologici dotati di neuroni, hanno capacità di stimare distanze e velocità con grande accuratezza e rapidità, per l'ovvio ruolo che ciò ha nella predazione o nella raccolta di cibo o nella fuga dal pericolo. Inoltre sappiamo che il saper fare ragionamenti matematici astratti non è una pratica uniformemente distribuita né in una popolazione in un certo momento, né nella storia degli uomini. Di sicuro io so di non avere la capacità di astrazione che aveva Gauss, per citarne uno di moltissimi giganti rispetto a me. In conclusione di questa nota: neppure la dotazione di capacità di astrazione, distribuita con gradualità tra i viventi, sembra vada a favore della tesi essenzialista.
Tra i possibili esiti alternativi dell'etica, si può, ad esempio, riconsiderare l'etica come retorica che agisce fisicamente sui neuroni come un farmaco, analogamente all'effetto placebo. Le neuroscienze cominciano ad avere molti strumenti fisici e teorici che mostrano come ciò può accadere (es: risonanza magnetica funzionale del cervello, modellistica delle reti neurali, etc.). Oppure si può considerare l'etica come sollecitatrice di termini, dilemmi e problemi decisionali, invece che come loro soluzione. In altre parole non trovo COGENZA a recuperare l'essenzialismo, se non nel VOLERE arbitrariamente evitare l'antiessenzialismo e il nichilismo/relativismo etico che ne consegue.
Cioè sembra di poter dire che: è NECESSARIO che l'etica dipenda da una NATURA aristotelica, se e solo se si VUOLE che l'etica sia un RAGIONAMENTO assertivo o normativo tendenzialmente assoluto. Altrimenti no.
Che non sia obbligatorio ridurre l'etica a dipendere da una NATURA aristotelica, anzi che sia ambiguo e inaffidabile farlo, e che non sia necessario introdurre termini metafisici nella questione, lo si intuisce dal fatto che proprio la nozione ontologica di NATURA UMANA è annullata dalla possibilità fisica di cambiare tale NATURA UMANA, come lei stesso teme, e per cui costruisce l'esigenza del termine ontologico per arrivare a fissare il confine di liceità per non farla cambiare. A me sembra un circolo vizioso originato dal dualismo implicito nel logos greco e molto amato dal pensiero cristiano, dualismo che vuole il logos essere fondamento di se stesso e capace di parlare del mondo senza fare ricorso indipendente ai sensi come elemento conoscitivo (cioè un logos che nega l'indipendenza dell'osservazione come risorsa conoscitiva utile a confinare e precisare la teoria prodotta dal logos, a differenza di quanto fa il pensiero scientifico moderno che ha prodotto l'antiessenzialismo su basi osservative e conoscitivamente affidabili).
Inoltre, se si può cambiare la NATURA UMANA mediante la physis (come lei chiama la fisica, o meglio il mondo fisico), vuol dire che tanto NATURA in senso aristotelico non è (cioè non è: "la sostanza delle cose che hanno il principio del movimento in se stesse" come vorrebbe Aristotele).
Non basta VOLERE che ci siano le condizioni per norme fondate perché esse ci siano e diano fondamento all'agire indipendentemente dal VOLERE che sia così. Si tratta di un circolo vizioso. L'antiessenzialismo ha buone ragioni fisiche darwiniane che lo rendono conoscitivamente efficace. È un po' come se volessimo fondare un'etica escludendo la forza di gravità perché non ci piace. L'antiessenzialismo non è un capriccio di Nietzsche, la cui speculazione forse non mi pare nemmeno tanto pertinente alla questione (Nietzsche, in fondo, propone la sostituzione di una tavola di valori con un'altra "dionisiaca", cioè suggerisce forse ancora una tensione a un "dover essere", che è cosa diversa dal chiedersi se sia del tutto possibile essere essenzialisti, se sia possibile una NATURA in senso aristotelico nel mondo fisico, e se abbia senso un "dover essere"). L'antiessenzialismo (per usare la sua terminologia) viene fuori perché l'essenzialismo fallisce nel rendere ragione di fenomeni fisici, cioè cessa di parlare del mondo fisico, della carne di cui siamo fatti: del Verbo incarnato, che tanto piace a voi cristiani e a molti filosofi.
Le ragioni fisiche, i meccanismi fisici ricorsivi, che fanno differenziare il becco dei fringuelli delle Galapagos (o le varie specie di ominidi) sussistono indipendentemente dal fatto che Darwin li abbia osservati e descritti, e mettono in crisi il concetto di essenzialismo. Così come i meccanismi fisici che hanno fatto, fanno e FARANNO differenziare le culture e i corpi degli organismi biologici (sia dei cosiddetti umani che non, posto che ci sia differenza di essenza, cosa che non penso) sussistono indipendentemente dal VOLERE un mondo essenzialista. Questi meccanismi rendono l'essenzialismo una velleità metafisica irrilevante per il mondo fisico alla scala degli organismi biologici. Darwin è la levatrice di un fenomeno fisico, non ne è il demiurgo. Se non vi piace il meccanismo, prendetevela col vostro Dio, visto che pensate che ci sia e che il mondo lo abbia fatto Lui. Prendersela con il dito (l'antiessenzialismo) che indica il masso che sta cadendo sulla testa mi sembra una stranezza; e pretendere che basti togliere il dito per far smaterializzare il masso, anche.
Faccio notare che si modifica la NATURA UMANA anche praticando parti cesarei (invece di lasciar morire madre e bambino) o diminuendo la mortalità infantile (in generale operando qualsiasi tecnica medica e non). Si aumenta/favorisce la propagazione dei geni che predispongono a richiedere parti cesarei o cure infantili più attente, e così via. Con lo stesso meccanismo, si altera la NATURA UMANA usando o non usando combustibili fossili per ottenere lavoro meccanico e cibo, etc. Un embrione che diventa adulto lo fa sempre a scapito di un altro embrione: questo altera la NATURA UMANA comunque. È la maledizione del mondo fisico per ogni prospettiva essenzialista. Si altera la NATURA UMANA vivendo. E allora? Che imperativo è quello di non alterare la NATURA UMANA, se non un imperativo impossibile?
Se tale NATURA UMANA ci fosse, non ci sarebbe neppure il problema di confinare la facoltà di cambiarla al di fuori di un campo metafisico ipotetico detto lecito: sarebbe già impossibile. In altre parole, l'introduzione del termine metafisico è un VOLERE che tale termine sussista, ma proprio perciò è indistinguibile da altri VOLERI. Il che rende ogni etica basata sulla presunta NATURA UMANA altrettanto basata sul VOLERE arbitrario, quanto il VOLERE un qualsiasi altro (o nessuno) confine di liceità. Cioè il temuto nichilismo o relativismo etico che scaturisce dal VOLERE arbitrario è già presente in ogni caso. È un problema tutto e solo di voi cristiani che volete distinguere con verità il lecito dal fisicamente possibile. Se vi piace essere dualisti, nessuno ve lo impedisce. Ma poi non stupitevi se le cose non quadrano come vi aspettate. Cioè non stupitevi che sorgano paradossi nel mondo fisico rispetto a formulazioni etiche normative ritenute fondate su base essenzialista.
La domanda laica che mi faccio è: quale affidabilità possono avere RAGIONAMENTI ETICI che partono con una tale FALLA ESSENZIALISTA alla radice? Perché ci viene chiesto di affidare loro la nostra vita o la nostra sofferenza?
Incidentalmente, far dipendere la NATURA UMANA da un Dio-logos, che basta alla fondazione di se stesso e che pretende di forgiare verità circa il funzionamento del mondo sulla base della presunta natura degli esseri e che esclude l'osservazione come termine indipendente del processo conoscitivo, ripropone una delle più pure e interessanti questioni dottrinali possibili per un cristiano. Infatti se bastano pochi frammenti di molecola di DNA "fuori posto" per alterare la NATURA UMANA e, con ciò, far diventare quel Dio-logos impotente a proteggere il mondo che avrebbe forgiato e incapace di spiegarlo, come si concilia ciò con la perfezione di Dio?
Ci si trova cioè a dover mettere in questione non solo uno degli attributi di Dio: l'onnipotenza, come aveva già proposto il teologo grande esploratore degli attributi di Dio, Hans Jonas, da lei citato in apertura. Ma addirittura a doverne metterne in questione due: l'onnipotenza, a causa della incapacità di preservare la NATURA delle sue creature, e l'onniscienza, a causa della incapacità di rendere ragione della loro NATURA.
Volendo abbandonare la ambigua strada dell'essenzialismo e volendo adottare un approccio decisionista alla questione "Embrioni e Natura Umana" in ambito politico-giuridico, si prospettano almeno tre aree tematiche dove prendere decisioni. Tutte le decisioni in queste aree sono pre-normative, tendenzialmente arbitrarie, derivano dal NULLA e sono sempre ridiscutibili. Sono una possibile articolazione del VOLERE. Esse sono:
È ovvio che la credenza nel concetto di NATURA UMANA sia largamente diffusa. Non è in discussione che la credenza in questo concetto, così mal definito e non fondato, sia oggi diffusa. Ne chiacchierano tutti. Ma non è detto che tale concetto sia uniforme in individui diversi. Ciascuno ci mette dentro un po' quello che vuole. Se no, non saremmo qui a discuterne, tra l'altro.
Che il concetto di NATURA UMANA non sia evidente lo prova il fatto che il dibattito della cristianissima Europa di allora ci mise 45 anni (dal 1492 fino alla bolla papale Veritas Ipsa di Paolo III del 1537) per riconoscere che gli indios d'America potevano essere considerati dotati di NATURA UMANA. Probabilmente valeva la stessa incertezza dall'altra parte.
L'irrisolto plurimillenario problema della schiavitù è un altro indicatore di scarsa chiarezza del concetto. Tracce di legittimità della schiavitù si trovano già nella Bibbia (es: Levitico 25, 39s; etc.) e si sa che era pratica usuale e legittima fino a circa un secolo fa.
Non sarei nemmeno sicuro che il concetto di NATURA UMANA sia lo stesso in Africani, Indiani, Buddisti, Cinesi post-maoisti ed asiatici in generale tra loro e rispetto all'occidente ebraico-cristiano-islamico che ne ha forse la concezione più omogenea all'interno della tripartizione menzionata. Parlo di ciò che gli individui hanno profondamente radicato nel cervello e che non si riesce a comunicare in modo interpersonale in modo chiaro col linguaggio. O di quello che avevano gli abitanti dell'antica Roma: per esempio il reato di aborto procurato presso Roma antica pare fosse un reato contro la proprietà del dominus (dico pare perché non ne ho una conscenza giuridica diretta: mi baso sul ricordo di una lezione giurisprudenziale che ho sentito fare).
Per un bambino probabilmente è più dotato di NATURA UMANA il gatto o il cane con cui gioca di quanto non lo sia un adulto estraneo e antipatico. Altri ancora pensano invece che il concetto di NATURA UMANA debba essere estesa anche a scimpanzè, gorilla e orangutan (oltre a tutte le specie di ominidi estinti o eventualmente e improbabilmente non estinti), la qual cosa non sarebbe del tutto infondata, posto che il concetto di NATURA UMANA avesse senso precisabile. Qualcuno ha detto che o si ridefinisce il concetto di utensile o si ammettono le scimmie come facenti parte del genere umano.
In via del tutto ipotetica, incerta sarebbe la estensione del concetto di NATURA UMANA ad eventuali organismi extraterrestri, posto che esistano da qualche parte (cosa probabile) e che mai li incontrassimo (cosa che credo grandissimamente improbabile), o a macchine-organismiche eventualmente ottenute per via ingegneristica o bio-ingegneristica.
Se il concetto di NATURA UMANA non è fondato, anche la credenza in esso può facilmente oscillare persino nel giro di pochi anni, cioè con frequenza elevata rispetto ai tempi storici. La storia ci mostra che questo accade abbastanza sovente, con facile rimozione dalla memoria di quali siano di volta in volta i concetti di NATURA UMANA vigenti. Facciamo estrema fatica persino ad immaginare quale fosse il concetto di NATURA UMANA dei nostri bisnonni che non abbiamo conosciuto direttamente. E quale concetto di NATURA UMANA avevano solo pochi decenni fa molti Nazisti (non necessariamente solo tedeschi, ma anche italiani e di altre nazioni)?
Tornando agli embrioni, personalmente, io preferisco che ciascuno decida dei propri embrioni. In particolar modo preferisco che a decidere su quali siano i termini e le condizioni per riconoscere il nuovo individuo e accettarlo siano colei o coloro su cui incombe l'onere di allevamento. La storia e l'antropologia comparata ci mostrano che il riconoscimento e l'accettazione di un nuovo individuo in una comunità è un atto tendenzialmente arbitrario, determinato dal contesto e storicizzato.
Non si tratta di diritti o di doveri astratti. Si tratta del primordiale esercizio della sovranità sul se, come, quando e con quali tecniche riprodursi o eventualmente rigenerare parti di sé. La storia naturale degli organismi viventi mostra che la riproduzione è soggetta solo a limiti fisici, e non a ipotetici metafisici divieti o liceità. Perché valgano le limitazioni metafisiche occorre che vengano tradotte in limiti fisici attraverso atti di VOLERE e appropriate azioni su o di coloro che danno luogo all'atto riproduttivo.
Perciò io personalmente preferisco che uno stato o una comunità in genere non legiferi su questa sovranità di ciascun individuo. Preferisco che la sovranità di ciò venga lasciata agli individui nel loro concreto contesto di vita.
Al di là delle mie preferenze, trovo inoltre velleitario e ridicolo sul piano pratico per uno stato o una comunità pensare di voler interferire su una simile primordiale sovranità degli organismi biologici. L'esperienza lo mostra. Sarebbe come voler regolare col codice penale la riproduzione dei cirripedi.
L'introduzione di una simile normazione giuridica crerebbe immediatamente numerosi paradossi ingestibili, alcuni dei quali si sono immediatamente evidenziati appena approvata la legge italiana in tal senso, oggi soggetta a referendum.
Un esempio di paradosso possibibile è il seguente. Supponiamo che in qualche luogo X della Terra si instaurino le condizioni per praticare il trapianto di cellule del muscolo cardiaco ad infartuati e che queste cellule siano prodotte da cellule staminali ottenute da un pre-embrione costruito ad-hoc a partire dal genoma del paziente mediante clonazione da sue cellule somatiche con una tecnica stile pecora Dolly. Supponiamo che in un altro luogo della Terra Y tutto ciò sia vietato dalla legge (dal nomos) vigente in quel luogo. Supponiamo inoltre che il costo di una simile terapia salvavita sia pressoché nullo o comunque non tale da costituire forte barriera. Domande. Come possono i garanti della giustizia del luogo Y distinguere se un suo infartuato si è sottoposto a tale terapia vietata in Y, visto che le cellule trapiantate hanno praticamente lo stesso genoma dell'infartuato? Come possono pensare di punirlo perché ha cercato di salvarsi la vita? Come possono pensare di mantenere una simile legislazione che punisce chi cerca di salvarsi la vita e di guarire o ridurre il danno da malattie gravi, senza che si generi una rivolta? L'unica strada che i garanti della giustizia del luogo Y potrebbero praticare è quella di uno "Stato di Polizia" assoluto con controllo totale e impermeabile dei confini, anche rispetto ai flussi di informazione e non solo rispetto ai flussi di persone. Ma visto che anche i poliziotti e i garanti della giustizia del luogo Y sono soggetti ad infarto, potrebbero rivoltarsi anche loro. Una rivolta dei garanti della giustizia contro se stessi. Faccio notare che non è improbabile che si formi un luogo del tipo X. Basta che la sua popolazione abbia una concezione etica diversa da quella cristiana. Potrebbe essere un luogo dell'Asia, che per 2000 anni si è mostrata abbastanza impermeabile all'etica cristiana e islamica. È notizia di questi giorni che la California (stato degli USA) ha varato un enorme progetto di medicina rigenerativa e, soprattutto, ha già prodotto atti legislativi che impediscono a leggi federali USA di interferire con quel progetto.
Ci sono molti altri paradossi che basterebbe mettersi ad analizzare.
Capisco che può essere inquietante per molti abituati a cullarsi tranquillamente nella ragione ideale di Adamo, Platone, Cristo, Aristotele, etc. (interpretata oggi), scoprire l'antiessenzialismo e, di conseguenza, scoprire anche di essere parenti stretti degli scimpanzè (non si sa se da parte di madre o di padre, come qualcuno chiese subito dopo l'uscita di The Origin of Species) e, più alla lontana, anche dell'insalata che ci si mangia a pranzo. Ma la cosa sta scritta fisicamente nella macchina del DNA e non in una evanescente e postulata metafisica. Anche se mangiarsi i parenti a pranzo non è considerato buona educazione.
Pare che ci toccherà fare a meno di un'etica assoluta, volenti o nolenti, come ne hanno sempre fatto a meno i nostri predecessori da alcune centinaia di milioni di anni in qua, compreso quell'antenato comune che abbiamo con l'insalata. Più ci penso e più mi pare che l'etica originata da Platone, e proseguita in ambito cristiano fino a definire la realtà ontologica della persona e ora dell'embrione, abbia a che fare con la pratica di frate Cipolla di mostrare la penna dell'agnolo Gabriello [Decameron: Sesta giornata, X].
"Naturam expelles furca, tamen usque recurret" [Orazio], come cita lei. Solo che la "natura" è il meccanismo fisico ricorsivo di Darwin (del cui pensiero la biologia è estensione), pensiero ottenuto con il galileiano primato dell'osservazione sulla parola di Dio; e non la NATURA di Aristotele che Tommaso d'Aquino blinda, asserendo il primato della parola di Dio.
Saluti.
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Bruno CAUDANA
b.caudana@ieee.org
http://www.adaptive.it/home.htm
DISCLAIMER: Questa lettera aperta è inviata con l'intenzione di far circolare pensiero a titolo puramente personale, gratuito e in modo estemporaneo. Può essere liberamente fatta circolare purché in forma integrale. Chi ritenesse di averla ricevuta indesideratamente, o per errore, può cancellarla o non leggerla e, se ricevuta direttamente da me firmatario, può chiedermi di non riceverne eventualemnte altre. Il confine tra rispetto della privacy e libertà di espressione è purtroppo sottile, incerto e confuso. Mi scuso con chi trovi questa intrusione fastidiosa.
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